Il viaggio come cura della mente - MeeTravel

Il viaggio come cura della mente

Un mattino partiamo, il cervello in fiamme, il cuore gonfio di rancori e desideri amari, e andiamo, al ritmo delle onde, cullando il nostro infinito sull’ infinito dei mari”. Cosi Baudelaire definiva il costante vagare e ciò che lo muove. Oggi in un mondo frenetico, costantemente in moto, in cui a volte sembra di entrare in un vortice senza uscita, si avverte all’improvviso un bisogno incontrollato di chiudere tutto e andare, così come si fa con un libro dopo ore di studio, pensando che con quel gesto si sia messa la parola fine a quel panorama in bianco e nero.

Ora, immaginate di stare per partire per una gita fuori porta, un weekend all’estero o un’ avventura intercontinentale. Sentite quel formicolio misto ad aspettative che si insinua nella mente e nello stomaco? Dentro di voi c’è la consapevolezza che per qualche giorno staccherete completamente, si spera, la spina dalla vostra routine e dai vostri problemi quotidiani. Bene. Assaporatela!

Pensate al viaggio come un periodo in cui potete tirare il respiroprendere aria da quella quotidianità che talvolta ci sembra soffocare. Il viaggio come cura della mente.

woman on body of water

In viaggio ci allontaniamo, sia fisicamente che psicologicamente, da ciò che ci angustia e, una volta partiti, alle volte riusciamo a guardare la nostra vita con un certo rinnovato distacco distacco. I problemi, ma anche la semplice routine, si fanno un po’ più piccoli, perché ne siamo più lontani, perché stiamo cambiando la nostra prospettiva.

Come il buon Protagora ci insegna da oltre duemila anni, se guardo in modo diverso il mio mondo, relativizzo i miei problemi, capisco ciò che mi fa star bene e ciò che mi fa star male e una volta a casa, vivo meglio.

A tal proposito, mi ritorna in mente una frase di un mio professore che qui sembrerebbe calzare a pennello: “Quando si sta male si tende a fissare un punto nella parete e pensare che il mondo sia tutto lì. E invece c’è tutta la casa ”.

C’è tutto un mondo. Non solo fuori, ma anche dentro di noi. Per trarre il massimo profitto dall’esperienza del viaggio dobbiamo costantemente sforzarci di aprirci al cambiamento, uscire dalla nostra comfort zone e pian piano rimodellare i nostri schemi logico-socio-culturali per adeguarli agli stimoli e alle diversità con cui ci approcciamo.

Non giudichiamo tutto e tutti, non classifichiamo immediatamente, non partiamo prevenuti.

Cerchiamo di comprendere, proviamo ciò che solitamente non proveremo.

Cambiamo strada ogni tanto.

Stupiamo noi stessi. Altrimenti si torna a casa uguali e sempre insoddisfatti.

Talvolta non ci pensiamo, ma anche il classico rituale di preparazione della valigia ci fa capire tanto di come siamo fatti. Ci mette di fronte a delle scelte che sembrano banali ma che ci comunicano qualcosa, magari dando priorità ad un oggetto piuttosto che a un altro.

Chiedersi costantemente: posso fare a meno di qualcosa che mi sembra essenziale nella vita di tutti i giorni? Si, posso.

Capire che se si dimentica qualcosa a casa non succede niente e, anziché disperarci, adattarci e sorprenderci.

Allora forse non è una cura, nel senso stretto del termine, viaggiare. Ma la ricerca di sé nel mondo è questione che andrebbe tenuta in considerazione. A cosa siamo disposti, pur di vivere? Quanto spazio abbiamo regalato al farci vivere? A cosa siamo  disposti a rinunciare e a guadagnare, per quel percorso a termine che è la nostra vita?

Sembra paradossale, ma il più delle volte in nome della nostra vita non siamo disposti a nulla. Trasmettiamo a noi stessi e agli altri il messaggio che stiamo lavorando per noi, per la nostra serenità, per una tranquillità economica e materiale, certo, ma non è la stessa cosa. Vivere, come amare, essere amati, essere felici, necessitano di un salto più in alto, di un rischio più forte. Non si tratta di metterci in balìa di pericoli estremi o di morte, per carità. Ma si tratta di capire come si chiama la nostra vita, e quale ne è la struttura portante. Detto altrimenti, quali sono i nostri desideri più profondi. Perché non è vivere quello che spesso facciamo, è l’essere in regola con una modalità sociale, canonica e accettata.

Poi si fugge a Zanzibar per agguantare un pezzo di felicità. Si cerca l’amante per agguantare un altro pezzo di felicità. Si beve o si fuma fino ad annullarsi.

Perché in effetti, bisogna ammetterlo, è ardua la felicità, avendo lavorato per un noi che non siamo, a discapito di quello che vorremmo davvero essere. 

 

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Post di Ilaria Cazzol

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